Lo stile barocco nel Salento
Dopo i Normanni, arrivano gli
Svevi, che dividono il Mezzogiorno, nella prima metà;
del 1200, in 11 circoscrizioni amministrative (giustizierati),
dando la denominazione di Terra d'Otranto alla
parte più meridionale della Puglia comprendente le attuali
province di Lecce, Brindisi e Taranto (le altre circoscrizioni
pugliesi erano la Capitanata e la Terra di Bari); poi gli Angioini,
sotto la cui denominazione Lecce diviene contea assegnata ai
Brienne (il primo fu Ugo, l'ultimo Gualtieri VI), ai quali subentrarono
i d'Enghien di cui si ricorda Maria (1367-1446) che sposerògrave;
Raimodello Orsini del Balzo e, sia pure per breve periodo, dopo
la morte di Raimondello, sposando Ladislao, diverrògrave;
regina di Napoli.
Alla fine del XV sec. giungono gli Aragonesi,
che nel 1481 intervengono con decisione ad Otranto messa a sacco
e fuoco dai Turchi, e con loro gli Spagnoli che resteranno nel
Sud per due secoli durante i quali lasciano tracce notevoli
nei costumi e nell'architettura del Salento.
Lecce città Barocca per eccellenza
Chi dal nord della provincia arrivava
a Lecce doveva per forza attraversare l'imponente Arco
di Trionfo (oggi lo si aggira): è la prima testimonianza
evidentissima, data anche la mole, degli spagnoli in città.
Lecce, seconda solo a Napoli per rilevanza,
volle onorare con tale monumento Carlo V, l'imperatore sui cui
domini non tramontava mai il sole. Altra testimonianza sono
le imponenti mura che si incontrano entrando in città
dalla superstrada proveniente da Brindisi: furono realizzate
su disposizione di Carlo V.
Sotto il Viceregno spagnolo il capoluogo
salentino è il più importante centro della Puglia:
di essa, infatti, diventa, nel 1539, la capitale con tanto di
uffici amministrativi e giudiziari, frequentata per questo da
funzionari e professionisti, imprenditori e commercianti molti
dei quali resteranno poi in città. Da qui i tanti cognomi
chiaramente spagnoleschi, nonchè quel "don" che si premette
ancor oggi al nome di persone di alto profilo.
Lecce diviene vivace
sede di istituzioni culturali, fervido centro commerciale (attivissimi
gli ebrei, i veneziani, i greci, i ragusei, etc.), città
rilevante dal punto di vista religioso (arrivano i Teatini nel
1574 e i Gesuiti nel 1586) e viene per questo a trasformarsi
come non avverrà più per secoli: è il volto,
l'anima e la struttura urbana che cambia.
Inizia verso la metà o alla fine
del Cinquecento la costruzione della più belle
chiese del capoluogo tra le quali ricordiamo
la chiesa di S. Croce, appartenuta all'ordine
dei Celestini, quella del Buon Consiglio o del Gesù,
dei Gesuiti, la chiesa di S. Irene, protettrice della città.
Accanto alle chiese e ai numerosi conventi,
fabbriche alle quali posero mano insigni fantasiosi artigiani
che lavoravano la tenera, morbida e resistente pietra
leccese (leccisu) con grande fantasia, perizia e maestria,
sorsero strutture civili di non grandi dimensioni, tranne rari
casi, che, nel Seicento, danno vita al barocco leccese e, nei
decenni successivi, al rococò. Un fenomeno,
questo, che interesserà largamente anche la provincia
dove chiese e palazzi fanno tuttora bellissima mostra di sè.
L'esagerazione di uno stile come dimostrazione di forza
Nella piazza di Galatina grandiosa è
la chiesa dei Ss. Pietro e Paolo, così
come a Galatone quella del Crocefisso.
Il fenomeno è presente a Nardò,
con la chiesa di S. Domenico, i cui motivi decorativi sono intagliati
in carparo scuro, a Gallipoli, con la Cattedrale
in carparo giallino, a Melpignano, con la chiesa del Carmine
con a lato il convento degli Agostiniani, e in tanti altri centri.
Quella del Barocco leccese è
l'epoca durante la quale aristocratici e ricchi borghesi voglion
dimostrare, imitando, in verità un po' malamente, quanto
avveniva a Napoli, tutto il loro potere, la loro forza, la loro
potenza e perciò fanno a gara per innalzare, soprattutto
nelle chiese, vetrina ideale per fare sfoggio della loro vera
o presunta autorevolezza, cappelle, monumenti
funerari, altari, tutti stracarichi
di simboli araldici, di iscrizioni dedicatorie, di
stemmi.
Ovviamente anche le facciate delle loro
residenze, per non venir meno al gusto del tempo, avevano portali,
finestre, balconi, mensole, colonne angolari, sulle quali c'era
lo stemma o il santo protettore della casata, stracolmi di ornamenti
e di decorazioni. Nulla era lasciato al caso, tutto era finalizzato
a dimostrare, come afferma la storica dell'arte Pino Belli d'Elia,
il ruolo che spettava ad ogni famiglia e dimostrarlo non solo
ai loro pari, ma soprattutto al popolo minuto.
Gli artefici delle opere barocche
Di quel lungo periodo, che cambia la
città e la provincia di Lecce, si devon ricordare gli
artefici e i protagonisti che si susseguono per quasi due secoli,
dal rappresentante del Viceregno in loco, il presidente
Ferrante Loffredo, giureconsulto, uomo d'armi,
gran mecenate, a Luigi Pappacoda e Antonio Pignatelli, vescovi
di Lecce (il primo dal 1639 al 1670, il secondo dal 1671 al
1682), nonché gli "architetti", da Giovanni Maria Tarantino
a Gabriele Riccardi, da Francesco Antonio e Giuseppe Zimbalo,
a Placido Buffelli, a Cesare Penna (che si immortala con il
suo gran naso a lato del rosone della facciata della Basilica
di S. Croce a Lecce), da Giuseppe Cino fino, nel '700, a Mauro
ed Emanuele Manieri che dei primi sono i naturali prosecutori.
Pittori e Decoratori
Tra i pittori e i
decoratori non si possono non ricordare il
copertinese Gianserio Strafella, i gallipolini
Giandomenico
Catalano e Giovanni Andrea Coppola, i leccesi
Oronzo Tiso e
Antonio Verrio. Strana storia quella di quest'ultimo: per un
po' di anni, figlio d'arte, lavora a Lecce, dove realizza alcune
grandiose tele nel Duomo, a Sant'Irene e in edifici civili poi,
dopo pochi anni passati in Francia, si stabilisce definitivamente
in Inghilterra. Là diviene pittore di corte di Carlo
II Stuart prima, e di Giacomo II successivamente. Retribuito
lautamente, ma eternamente squattrinato, egli lavorò
per moltissimi anni al castello di Windsor oltre che in altre
grandiose residenze londinesi. Ancora oggi la sua fama nel Regno
Unito è notevole e non ha pari rispetto a quella riservatagli
nel nostro paese.